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AGROALIMENTARE E COOPERAZIONE: ETICA E COMPETITIVITÀ CONDIZIONI INDISPENSABILI

Il rafforzamento della filiera agroalimentare non può prescindere da una necessaria sinergia tra produzione e distribuzione all’insegna dell’etica e della qualità. Con la necessità di essere competitivi.
Intervista a Sara Guidelli direttore generale Legacoop Agroalimentare che da sempre cerca di declinare le diverse sfaccettature del tessuto socio-economico delle agricolture italiane rafforzando il ruolo della cooperazione ed evidenziando la necessità di coniugare il particolare perchè di biodiversità è fatto il nostro patrimonio agricolo.

Il valore prodotto lungo la filiera agroalimentare è a netto vantaggio del segmento della distribuzione. Come possono la cultura e la logica della cooperazione intervenire affinché sia riconosciuto, anche in termini economici, il ruolo fondamentale dei produttori primari?

Le cooperative sono pronte a una nuova stagione che parta proprio dalla trasparenza legata ai temi della produzione. Per fare questo dobbiamo ragionare in un’ottica di filiera che dia la garanzia di un prezzo equo per chi produce, giusto per chi acquista, una filiera capace di rispettare tutti i valori e dove il consumatore, che gioca un ruolo da protagonista, deve essere sensibilizzato sul tema del giusto prezzo. Dobbiamo lavorare per una distribuzione dove anche l’agricoltura ritrova la propria centralità. 

Perché parla di giusto prezzo?

Il concetto del giusto prezzo è importante perché nel mondo agricolo ci sono sacche di illegalità volute, pensate e studiate. E si favoriscono ogni qualvolta ci si approvvigiona nel mercato a prezzi troppo bassi che non consentono la corretta remunerazione del lavoro e delle produzioni agricole.  Quando si cerca il prezzo basso si lascia spazio a chi lavora nell’illegalità, si apre a frodi alimentari o si favorisce un mercato del lavoro senza valori sociali. E quindi chi rispetta le regole rischia di essere fuori mercato in quanto si ha una concorrenza sleale, si gioca una partita con regole diverse che gli onesti non sanno giocare. Su questo la cooperazione è impegnata, nella sensibilizzazione del valore del prodotto agricolo e dei valori etici e sociali che lo compongono.

A maggior ragione adesso con l’impennata dei costi di produzione e delle materie prime

L’aumento dei costi delle materie prime di queste ore è un problema che sta mettendo in ginocchio il settore. Tutto ciò è dovuto all’incremento di richiesta di prodotti nel post pandemia, e i grandi player stanno facendo incetta di materie prime con conseguenti rincari. Poi c’è la crescita dei costi della logistica, un container è aumentato anche del 400%, dell’energia elettrica e del combustibile. I maggiori costi devono essere spalmati su tutta la filiera, e non essere soltanto a carico dall’agricoltore ma anche dalla gdo.

La qualità e il legame con il territorio di provenienza contraddistinguono, in modo sempre più forte, la scelta agroalimentare dei consumatori contemporanei. Nel caso italiano questa ricchezza risiede nelle sfumature delle “agricolture”. Quali sono gli strumenti che la cooperazione agroalimentare può mettere in campo per agevolare il raggiungimento del punto di equilibrio tra grande distribuzione e qualità agroalimentare?

La pandemia ci ha insegnato l’importanza del valore agroalimentare e delle produzioni dei nostri territori, abbiamo riscoperto la bellezza di vivere in un paese ricco di biodiversità e di prodotti di alta qualità. La biodiversità è l’elemento di cui dobbiamo farci vanto. Il nostro Paese deve riuscire a tirare fuori le eccellenze e a fare sintesi del grande valore dato dalla diversità dei territori. E in questo percorso la distribuzione deve essere partner e non controparte. Al centro c’è la filiera. Il valore della cooperazione è lungo tutta la filiera, dal campo al piatto. Per questo la gdo deve essere un attore con cui dialogare. 

Quale può essere il ruolo della cooperazione nel favorire l’aggregazione dei produttori? Può in qualche modo incidere, anche all’interno di camere di realtà come Agrinsieme, affinché la logica della cooperazione sia estesa al tessuto imprenditoriale più frammentato ma rappresentativo della struttura produttiva del Paese?

Il mestiere della cooperazione è di aggregare gli agricoltori, lavoriamo per la loro emancipazione cercando di distribuire all’interno della filiera stessa il massimo valore possibile. Certo, questa è una sfida che non possiamo giocare da soli. Collaboriamo con tutti gli attori, siamo parte di Agrinsieme, aggreghiamo imprenditori di tutte le associazioni, ci poniamo il ruolo di portare le nostre produzioni in Italia e all’estero. Lavoriamo per fare quella massa critica necessaria per essere competitivi e lo facciamo con investimenti importanti. 

Cultura della cooperazione: oltre a garantire la necessaria presenza sui mercati, come può la grande cooperazione essere uno strumento per la diffusione della sensibilità alla sinergia necessaria tra piccole realtà e territori? Favorire la costruzione dal basso è possibile, in questo senso?

Il mondo della cooperazione ha rispetto anche per le cooperative più piccole, abbiamo l’ambizione di promuovere la sinergia tra cooperative per far crescere i volumi. Ma anche per trasferire know-how in particolare adesso che l’agricoltura 4,0 non può rimanere appannaggio soltanto delle grandi realtà. Per questo lavoriamo ad un grande progetto: le cooperative di comunità. Le riteniamo lo strumento giusto per dare valide risposte ai territori che vogliono essere la sintesi tra le varie attività nelle zone in cui operano. Mettono in sinergia non soltanto l’agricoltura ma anche la cultura, il turismo, l’accoglienza.

Territori a “trazione agricola” come, ad esempio, quello della pianura pontina sono un fiore all’occhiello della produzione primaria nazionale. Questi distretti mostrano però la necessità di trovare nuove forme di equilibrio centrate sul rapporto efficiente tra produzione e trasformazione/commercializzazione, magari attraverso la rigenerazione del patrimonio industriale finalizzata al potenziamento di settore. In che modo cooperare può favorire punti di incontro tra i segmenti della filiera in questo senso?

Ci sono realtà che già operano nella rigenerazione del tessuto industriale dismesso. In Toscana in alcuni vecchi capannoni della Valdelsa, in tubi di plexiglass, vengono prodotte microalghe, in particolare Spirulina e prodotti nutraceutici. Sono sostenibili, non usano chimici, utilizzano i prodotti agricoli per generare energia pulita e rinnovabile. Microalghe e nutraceutici trovano poi commercializzazione in integratori e cosmetici. Questa è la sintesi tra la rigenerazione del patrimonio industriale e un’agricoltura non solo più bene primario ma con un grande valore aggiunto. È questo il futuro dell’agricoltura che crea valore e ricchezza e che non è più soltanto commodity.

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Ruralidea
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