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MADE IN ITALY: UN CAPITALE DA RAFFORZARE PUNTANDO SU INNOVAZIONE E TRADIZIONE

Intervista a Maria Angela Perito, professoressa all’Università degli Studi di Teramo

Approfondiamo con la presidente del corso di Scienze e Culture Enogastronomiche per l’Università di Teramo, punto di riferimento tecnico scientifico nella costruzione di progetti finalizzati all’innovazione agroalimentare PEI, ma soprattutto attenta a valorizzare il fattore culturale e la potenzialità delle pieghe di tradizioni e biodiversità, che rappresentano essenza e leva indispensabile di crescita per il patrimonio culturale e produttivo del tessuto agroalimentare italiano. Un patrimonio cruciale nello sviluppo della rete Re.La.Te.

Mariangela Perito, Economista agrario, con attività di ricerca sui sistemi economici legati all’agroalimentare, e analisi dei comportamenti relativamente ai nuovi prodotti che stanno aumentando nei generi alimentari e le analisi delle complessità della filiera agroalimentare, mi occupo anche delle politiche agroalimentari e tutto ciò rappresenta il mio bagaglio di attività di studio e di ricerche.

Mi collego al corso di scienze e culture enogastronomiche per la sostenibilità, un corso che nasce lo scorso anno e che sin da subito ha ricevuto un ottima accettazione da parte degli studenti, siamo un’Università piccola, di una provincia piccola di una regione piccola dell’Abruzzo ma, allo stesso tempo una regione ricca di cultura enogastronomica  con produzioni di eccellenza e in alcuni casi di filiera corta, anzi cortissima, in questa accezione l’Università di Teramo ha da subito stipulato delle partnership importanti, in ordine temporale l’ultima stipulata con Slow Food Italia.

Per quello che riguarda, il concetto su cui si fonda il corso di scienze e culture gastronomiche per la sostenibilità è lo studio del cibo, quello buono, di qualità, sostenibile per l’uomo e per l’ambiente a 360 gradi, infatti gli studenti del primo anno sono impegnati a studiare materie come chimica degli alimenti, storia del cibo, marketing dei prodotti agroalimentari, studio delle piante alimentari, studio delle piante selvatiche, il benessere animale e dei sistemi di produzione zootecnica, mentre nel secondo anno il programma di studio prevede materie umanistiche come l’antropologia e successivamente  tecnologia degli alimenti, analisi sensoriale sino ad arrivare a studiare la nutrizione umana, gli effetti del cibo sull’uomo, una formazione a tutto tondo sul cibo di qualità e tutto ciò che riguarda il Made in Italy.

Mi piace dire e pensare che gli studenti che usciranno da questo corso di studi saranno i veri portabandiera del Made in Italy agroalimentare nel mondo, capaci di essere promotori e fare promozione delle nostre eccellenze agroalimentari, saranno esperti di agroalimentare e tanti nostri studenti sono già impegnati nel mondo della ristorazione.

Un elemento centrale del nostro corso è lo studio e l’analisi dei processi che avvengono in cucina, studiamo l’agroalimentare dal campo alla tavola considerandone la filiera e la ristorazione, di qualità, quella buona, che ci contraddistingue dal punto di vista culturale.

Noi studiamo di tutto, dalla storia all’antropologia, alla sociologia, un mix di saperi che rende i nostri studenti conoscitori puntuali del cibo di qualità.

Molto spesso i prodotti funzionali sembrano quasi essere in antitesi con le produzioni della tradizione della nostra cultura enogastronomica, in reltà non sempre è così, dobbiamo sapere tener conto delle esigenze crescenti del consumatore moderno, sempre più interessato a prodotti alimentari con contenuti salutistici di particolare rilevanza, contenuti vitaminici di vario genere, paste arricchite, prodotti biotici, un panorama che noi come Università di Teramo stiamo studiando con pubblicazioni scientifiche a livello internazionale che ci vedono leader nella produzione scientifica in questo settore, dai prodotti scartati dalla filiera agroalimentare che con opportuni trattamenti, ad esempio trattamenti teconologici, vanno ad arricchire il prodotto con dei bio-componenti che rendono il prodotto funzionalmente potenziato e da un lato anche sostenibile perchè realizzato con prodotti che sarebbero stati scartati dalla filiera produttiva, consentendo una riduzione dello spreco che avviene dal campo fino al sistema di produzione industriale.

Innovazione e tradizione, sono spesso visti come contrapposti. C’è chi è legato alla tradizione e segue tecniche colturali che non variano nel tempo, e chi innova per avere un maggior valore produttivo. Come si interfacciano i due aspetti?

Leggendo un libro del professor Montanari, storico del cibo, ci mostra come alcuni prodotti e lavorazioni che un tempo venivano ampiamente utilizzati per vari fini, oggi generalmente diventano scarto. Noi, invece abbiamo iniziato un lavoro di recupero di scarti, in un caso le foglie di ulivo, che sappiamo vengono tagliate, trinciate e gettate, in realtà più di cento anni fa c’era un uso perfino religioso ma anche farmaceutico, è risaputo che le foglie di ulivo avevano benefici sulla salute per varie patologie, in molte regioni d’italia si faceva uso di infusi di foglie di ulivo come prodotto farmaceutico, erano utilizzate anche per molti riti religiosi.

Con il nostro stile di vita moderno abbiamo dimenticato alcune usanze e modalità di approccio, per dire che i nostri nonni di fatto conoscevano le proprietà salutistiche di alcuni alimenti e/o prodotti ma lo sviluppo industriale ha di fatto coinvolto anche l’industria farmaceutica sopperendo così ad alcune necessità, e quindi non abbiamo più memoria della reltà di questi prodotti e delle loro funzioni che per centinaia di anni hanno fatto parte della dieta dei nostri avi.

Il corso analizza l’aspetto del cibo a 360 gradi, dalla produzione, alla chimica,  dagli alimenti, alla storia del cibo, al marketing. Spesso il prodotto italiano, soprattutto quando i quantitativi sono piccolissimi, non consente una produzione di massa come in altre nazioni, quindi fare sistema e marketing aiuterebbe il settore?

Molto spesso i piccoli produttori, soprattutto di montagna,  mi dicono: “Professoressa ma i  nostri prodotti li vendiamo comunque perchè, ce li vengono a chiedere”. In realtà questa è una visione limitata al singolo territorio, e quindi fortemente soggetta ad una domanda/richiesta di un mercato di consuetudine  con limitata capacità di realizzo.  Il problema reale è di capire che all’estero c’è una fame di prodotto italiano, questo per dire che  potremmo sviluppare il Made in Italy cogliendo le opportunità di mercato, implementando il turismo sviluppando anche l’aspetto  gastronomico.

L’Italia è il paese con la maggiore biodiversità al mondo, il problema non è fare grandi produzioni quando parliamo di eccellenze di nicchia, il problema è fare sistema, i piccoli produttori devono continuare con le loro produzioni in ottica di sistema e creare una rete, un organizzazione tale da creare il “mega brand” del Made in Italy.

Tanti italiani all’estero comprerebbero volentieri i  tanti prodotti, non è detto che ci debba essere una standardizzazione forzata, abbiamo vissuto decenni in cui ci veniva detto che i prodotti dovevano essere omogenei e standardizzati, ma il consumatore è cambiato, le diete stesse non sono più omogenee e standardizzate, basta andare al ristorante con gli amici per rendersi conto di come ognuno abbia la propria dieta ed è giusto servire anche questi consumatori sparsi in questi paesi di tradizionale importazione Made in Italy.

Quello che si deve mettere a sistema è la creazione di economie di scala per quanto concerne i costi, cosiddetti incomprimibili, per raggiungere i mercati.

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Ruralidea
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